Dal blog di Sandro Iovine:
Tra i vostri amici c’è per caso qualcuno che fa il fotografo professionista? Magari dedicandosi allo specifico al fotogiornalismo… Beh se avete questa fortuna potete chiedere a lui quanto sia importante la campagna che stanno promuovendo gli albionici colleghi di British Journal of Photography. La maggior parte dei nostri lettori vive la fotografia come un’attività a metà strada tra il ludico e l’autoreferenziale senza rendersi conto della gravità delle problematiche reali che i professionisti sono costretti a vari livelli ad affrontare quotidianamente. Di fatto oltre alla crisi dell’editoria, al crollo dei prezzi delle immagini dovuto a svariate concause, in paesi come il Regno Unito vengono da più parte invocati provvedimenti legislativi, che mirano a incrementare il livello di sicurezza con leggi e regolamenti anti-terrorismo piuttosto che contro la pedofilia o a difesa della privacy dei singoli, che di fatto finiscono per penalizzare i fotografi professionisti e non. Secondo quanto denuncia il British Journal of Photography, in occasione di eventi come manifestazioni, sia politiche sia di altra natura, o concerti si procederebbe a una schedatura di fatto dei fotografi presenti, professionisti e non. Secondo il British Journal of Photography si sarebbe arrivati al punto di prendere di mira perfino i turisti stranieri, come nel caso di un padre austriaco che, in compagnia del figlio, sarebbe stato sorpreso dalla polizia a fotografare un importante obiettivo strategico, ovvero la stazione dei bus di Walthamstow… In questo modo si verrebbe creando giorno dopo giorno un archivio sempre più consistente della cui utilità antiterrorismo, mi sia consentito di dubitare. A riprova che non si tratti di un atteggiamento paranoico dei colleghi inglesi il fatto che tra i primi ad aderire alla campagna di denuncia contro questa situazione ci sono due fotografi dell’Agenzia Magnum, Stewart Franklin e Chris Steele Perkins. Ma cosa si sono inventati questi fotografici figli della perfida Albione? Innanzitutto sono partiti da una sana e realistica considerazione: se si assume per vero il contenuto della denuncia dei fotografi inglesi, va da sé che sarebbe perfettamente inutile impegnarsi in una petizione da presentare al governo, essendo questo il mandante della schedatura. Per cui avrebbero deciso di operare in direzione della sensibilizzazione di massa effettuata per mezzo della rete. Per questo motivo il British Journal of Photography ha chiesto ai professionisti e agli appassionati di tutto il mondo di partecipare a una campagna finalizzata alla creazione di una sorta di archivio di immagini di autoritratto in cui compaiono le scritte I am not a terrorist e Not a crime (Non sono un terrorista e Non è un crimine). Servirà a qualcosa? Di pratico probabilmente no. Di fronte al richiamo alla ragion di stato non ci sono mai state e mai ci saranno petizioni o campagne di sorta in grado di alterare evidenti motivazioni di sicurezza o più celati interessi di altro genere. Non mi sento di essere insomma particolarmente fiducioso nei confronti di questa iniziativa, ciò non di meno ritengo sia dovere di chiunque abbia a cuore la libertà di poter fotografare, partecipare con il proprio contributo, qualora ovviamente ne condivida le finalità. Pur non illudendomi che operazioni del genere siano infatti in grado di cambiare lo stato delle cose, credo che si debba tentare di far qualcosa, come minimo per rendere il maggior numero di persone possibili coscienti di quanto accade o c’è il rischio che accada. E questo discorso al giorno d’oggi non può essere fondato su valutazioni di tipo nazionale. Non si può pensare che se accade nel Regno Unito non ci riguarda. La libertà di espressione, perché se scaviamo nemmeno troppo in profondità di questo stiamo parlando quando osserviamo con preoccupazione manovre tese a limitare l’esercizio della fotografia, è un bene di tutti. E se ci guardiamo intorno non è difficile comprendere che idee del genere potrebbero attecchire facilmente ovunque. Forse non possiamo fermarle, ma almeno possiamo contribuire a che si abbia coscienza di ciò che accade o potrebbe accadere. E ci sono poche cose in grado di deprivare un’azione di coercizione, come la coscienza della sua natura. L’invito è quindi quello a partecipare alla campagna del British Journal of Photography, caricando un autoritratto con la relativa scritta sul proprio account di Flickr, per poi iscriversi al gruppo Not a Crime) e caricare anche qui l’autoritratto. Io l’ho già fatto.
Io aderisco con questo scatto:
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